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Ok, nei nostri precedenti articoli vi abbiamo raccontato importanti novità sulle comunità energetiche in Italia.

Vi abbiamo riportato le parole del CEO di Enel, analizzato il TIAD di ARERA, e spiegato il PNACC del Governo. Tutti documenti e articoli utili per capire qual è lo stato attuale delle comunità energetiche in Italia. Inoltre, abbiamo un articolo costantemente aggiornato che vi riporta tutti i bandi attivi per accedere a finanziamenti.

Dunque, nonostante manchi una definitiva semplificazione delle procedure burocratiche, tutti i tasselli sono stati posizionati al posto giusto.

Ma nel resto del mondo come siamo messi?

L’Italia è indietro o avanti rispetto agli altri Paesi del mondo?

Facciamo un rapido confronto tra le comunità energetiche in Italia e nel resto del mondo.

Buona lettura!

1. Le comunità energetiche in Italia
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Era il 2018 quando l’Europa accoglieva la Direttiva REDII 2018/2001, prima normativa ufficiale che definisse, quantomeno, caratteristiche e nascita delle comunità energetiche.

Nemmeno due anni dopo in Italia potemmo leggere l’art. 42bis del Decreto Milleproroghe, con cui lo Stivale aprì una fase sperimentale e i cittadini potessero informarsi con maggior costanza sulle comunità energetiche in Italia.

Il successivo Disegno di Legge (il 199/2021) ci fece conoscere tutti i vari incentivi, bandi, e implementazioni atti alla condivisione dell’energia e soprattutto al funzionamento finanziario delle stesse.

Oggi, a inizio 2023, il Governo ha posto in cima alla lista delle priorità un certo numero di Decreti che puntano a semplificare l’iter burocratico.

Ma qual è l’effettivo stato delle comunità energetiche in Italia?

Beh, da una parte è certamente positivo, mentre dall’altra stentiamo a decollare.

Tra i fattori positivi in Italia troviamo:

  • una regolamentazione chiara
  • il costante aggiornamento di fondi e finanziamenti
  • l’investitura dell’Europa
  • i Mw totali prodotti nel 2021
  • le sperimentazioni che ci portano a essere tra i Paesi più innovativi

Mentre al contrario riscontriamo:

  • difficoltà della burocrazia
  • ritardi nei pagamenti di incentivi
  • poche installazioni di impianti
  • poche comunità effettive

Proviamo a dare un po’ di numeri.

Legambiente ha analizzato i massici dati forniti da Terna, elaborando così grafici e statistiche per donare uno specchio sulle comunità energetiche in Italia.

Veniamo a conoscenza che l’Italia è il sesto Paese nel mondo per la potenza complessiva prodotta dall’energia solare e dalle installazioni del fotovoltaico.

Niente male davvero, considerano che davanti a noi abbiamo Cina, USA e India (Paesi con una popolazione oltre le 10 volte maggiore della nostra) oltre che Giappone e Germania, che hanno iniziato il processo verso le rinnovabili molto prima di noi.

L’Italia ha dunque prodotto, nel 2021, 21.630 Mw di potenza complessiva dai propri impianti fotovoltaici. Ma la gioia va incontro a un brusco stop quando scopiamo a quanto effettivamente ammontano le installazioni nel nostro Paese: solo 765 Mw.

Tra le 10 Nazioni migliori per produzioni annua, ci collochiamo all’ultimo posto. E il dato è ancor più preoccupante se leggiamo il numero della Spagna penultima: 2.812 Mw di installazioni.

Insomma, come spesso ci piace ripetere, la strada è quella giusta. La stiamo percorrendo a passo d’uomo ma con una velocità di pensiero elevatissima.

2. Le comunità energetiche in Italia e… Nel mondo
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Come raccontato, la Direttiva REDII 2018/2001 ha sbloccato normativa e sensibilità dei cittadini europea.

Eppure, alcune azioni importanti sono state registrate prima di tale data.

2.1- Le comunità energetiche nel Nord Europa

Emblematico è il caso della Danimarca, dove già nel 1970 si assistette a una prima sperimentazione. Infatti, la crisi petrolifera di quegli anni, portò spontaneamente alcuni cittadini a investire in privati progetti di reperimento alternativo di fonti alternative. E così, nel giro di 3 anni, gli abitanti di un paesino danese costruirono una turbina eolica da 2 Mw sfruttando l’immensa risorsa che la loro terra potesse offrirgli: il vento.

Lo scopo dei danesi, oltre quello di risparmiare in bolletta, era di manifestare che un’alternativa al petrolio esistesse e fosse alla portata di tutti.

In maniera simile, altri casi tra Olanda, Svezia, e Norvegia, furono registrati con largo anticipo rispetto al sentore comune europeo post 2018, data che sblocca definitivamente il concetto di comunità energetica in Italia e non solo.

Come spiega la dott.ssa Nicolien Van der Grijp, ricercatrice e tra i massimi esperti dell’argomento, la direttiva del 2018 ha contribuito a una vera e propria esplosione del fenomeno, ma nei cosiddetti Stati Pionieri (quelli citati fino a ora) non sono stati avvistati forti cambiamenti. Le parole della studiosa ci fanno capire come, quantomeno a livello culturale, i Paesi nordici fossero già pronti a questo tipo di rivoluzione ambientale.

2.2- Le comunità energetiche in Germania

Radicamenti culturali molto simili possiamo riscontrarli in Germania.

Ovviamente, anche in questo caso ha giocato un ruolo fondamentale la cultura. Infatti, la tradizione tedesca è molto simile a quella nordica. Stiamo parlando di Paesi naturalmente predisposti all’innovazione e alla salvaguardia del proprio territorio.

Le Germania, infatti, può essere ricondotta i Paesi Pionieri. Anche se con 20 anni di distanza dall’esempio danese, nella Germania degli anni ’90 arrivarono sul tavolo diversi progetti di energia solare. Mentre in Danimarca la rivoluzione è stata portata “dal basso”, ovvero con iniziative private di cittadini, il Governo tedesco ha avuto un ruolo importante.

Alcune iniziative, come l’autoconsumo collettivo condominiale in cui l’energia prodotta e consumata non passa per reti pubbliche, sono state promosse dalla stessa cancelleria, incentivando così tanto le responsabilità dei cittadini che a oggi la Germania è al quarto posto mondiale per Mw di potenza installata (53.783) e al quinto per Installazioni annuali, numeri quattro volte maggiori rispetto a quelli italiani.

2.3- Le comunità energetiche nel Regno Unito

L’inizio degli anni 2000 segna la golden age del rinnovabile per il Regno unito.

Anche qui possiamo riscontrare differenze rispetto ai casi precedenti. Soprattutto su come i sudditi di Sua Maestà abbiano approcciato la sostenibilità elettrica. Infatti, qui si parla di un vero e proprio modello di business: il Partito Laburista di Tony Blair guardò con interesse i movimenti nel Nord Europa, fino a sposarne il modello attratto da i grandi risparmi che gli impianti avrebbero provocato.

Al 2022 il Regno Unito può vantarsi di numeri molto incoraggianti: quasi 500 comunità energetiche per 319 Mw installati, che hanno prodotto risparmi in bolletta per 4 milioni e guadagni di circa 38 milioni.

2.4- Le comunità energetiche negli USA

Community solar”: così sono chiamate negli Stati Uniti. Hanno lo stesso meccanismo delle comunità energetiche in Italia ma una differente regolamentazione.

Infatti, sono i singoli Stati che gestiscono le norme in ambito energetico, centralizzando il sistema sin dal 2019. E così, i Governatori più illuminati hanno avuto spazio e tempo per costruire i loro piccoli “giardini solari”. Inoltre, il loro modello consente a tutti i membri di una data comunità (è usuale negli Stati Uniti che circondari/vicinati/quartieri ragionino con una sola mente) di ottenere i benefici del fotovoltaico: se si hanno problemi di spazio o economici, riceve in ogni caso energia pulita e una parte dei finanziamenti.

2.5- Le comunità energetiche in Australia

Proseguiamo la nostra rassegna gettando uno sguardo fuori dall’Europa e dal Nord America.

Un altro Paese del Commonwealth ha deciso di investire fortemente nelle comunità energetiche. Si tratta dell’Australia, che ha dato il via al loro progetto per riqualificare le zone delle coste e meno servite dalla rete centrale. Inoltre, le tragedie causate dai tornado del 2016, hanno accelerato tale bisogno. A oggi si contano 112 comunità energetiche, una crescita esponenziale che in 8 anni ha portato a una crescita del 1.000% e costruito fondi facilmente accessibili del valore di 330.000$ per incentivare i cittadini a sposare il rinnovabile.

3. Il confronto tra comunità energetiche in Italia e nel resto del mondo
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I Paesi che abbiamo analizzato nei precedenti paragrafi sono solo alcuni che hanno sbloccato definitivamente la produzione di comunità energetiche.

E in Italia?

Ci sono 81 comunità energetiche in Italia operative e complete, con altre 30 che si aggiungeranno entro la fine dell’anno (numeri e stime di Legambiente). Potete vedere i dati Terna mappati da Legambiente cliccando qui.

I numeri, come detto, sono incoraggianti, e ci fanno piazzare subito dietro ai Paesi maggiormente strutturati. Sicuramente il ritardo culturale e normativo ci ha penalizzato. Come avete letto, dagli anni ’70 agli anni ’00, c’è stato un florido movimento che ha coinvolto principalmente gli Stati del Nord Europa e il Regno Unito. Mentre le comunità energetiche in Italia hanno avuto visibilità con il Decreto europeo del 2018 e una spinta maggiore con il Decreto Milleproroghe del 2020.

Siamo giovani da questo punto di vista ma abbiamo un grande tasso di crescita. Stavroula Pappa, avvocato e project manager belga, ha definito l’Italia come “uno dei paesi che si trovano allo stadio più avanzato con un fermento e una crescita fortissima del numero di progetti”.

L’investitura arriva anche da Maria Luisa Lode, ricercatrice dell’università di Bruxelles, che ci fa i complimenti per le innovazioni ma ci tira le orecchie poiché “la creazione di comunità energetiche in Italia è più complessa e meno spontanea rispetto ad altri Paesi”. Proprio quello che noi di Ecosisma.it sottolineiamo da mesi.

4. Le caratteristiche delle comunità energetiche in Italia
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Un’altra grande differenza che ci contraddistingue dal resto del mondo è la natura delle comunità energetiche in Italia.

In Nord Europa e negli Stati Uniti soprattutto, il tasso di comunità energetiche nate da cittadini e associazioni è altissimo, che rasenta quasi il 50% del totale.

In Italia, invece, stiamo sotto il 14%.

Questo significa che c’è un grosso movimento, all’estero, da parte dei cittadini che vogliono responsabilizzarsi, aiutare l’ambiente, e risparmiare in bolletta.

Se guardiamo in casa nostra, invece, su 10 comunità energetiche in Italia solo l’1,5 è stata costruita da cittadini. Il restante raggruppa mobilitazioni di risorse pubbliche, enti locali, fondazioni comunali, e simili.

È ovvio che i cittadini hanno poche possibilità per scavalcare gli ostacoli burocratici (mancanza di supporto, assenza di progettisti, difficoltà nel reperire e comprendere documenti), ma è anche vero che gli stessi sono poco affini al tema e manca ancora tanta sensibilizzazione culturale.

Aiuta Ecosisma.it nel suo intento: far conoscere i vantaggi delle comunità energetiche in Italia e costruire un grande network rinnovabile.

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